Quella che stiamo vivendo è una profonda fase di cambiamento della nostra società. Le grandi trasformazioni in atto stanno provocando profondi cambiamenti nelle culture, nei costumi e nei consumi, per grandi masse di donne e di uomini. Le rivoluzioni industriali stimolano anche una nuova percezione del tempo, così come del tempo di vita in tutte le dimensioni: dalla vita lavorativa al tempo libero, al confine stesso tra “tempo di lavoro”, “tempo di produzione” e “tempo di vita”.
Sul piano storico, le rivoluzioni industriali sono state accomunate da un altro elemento: il mito del progresso, che ha incarnato la possibilità dell’uomo di trasformare lo spazio circostante, di dominare la natura. Legato al progresso, ritenuto una condizione ovvia e naturale dell’umanità, vi è poi un altro mito che ha segnato le rivoluzioni industriali, il mito del produttivismo ovvero un orientamento che tende ad incrementare costantemente la produttività.
Tempo, lavoro, miti, culture, produttività, consumi, contesto sociale, sono molti gli ambiti della vita coinvolti dal progresso tecnologico.
Nell’epoca d’oro delle innovazioni tecnologiche, diviene cruciale sviluppare un approccio creativo all’interazione uomo/macchina che consenta ai giovani cittadini – futuri lavoratori – di immaginae degli scenari in cui lavoro e intellegenze siano combinati in modalità inedite. In questo senso la storia propone degli esempi utili.
L’inarrestabile flusso delle innovazioni degli ultimi decenni, sfociato nell’odierna rivoluzione digitale, ha cambiato in modo radicale l’economia e modificato le prospettive dell’industria e del lavoro. Automazione e intelligenza artificiale incidono sulla velocità del cambiamento e generano nuove sfide e domande: quali saranno gli esiti di questa trasformazione? Come si concilieranno i cambiamenti innescati dalle nuove tecnologie con la necessità di salvaguardare l’ambiente?
Il legame tra crescita economica e sviluppo tecnologico è strettissimo sin dai tempi della prima rivoluzione industriale. Grazie all’invenzione e al rapido perfezionamento della macchina a vapore l’industria poté contare su un quantitativo di energia enormemente superiore rispetto a quello a disposizione nell’età preindustriale.
Con la seconda rivoluzione industriale la produttività compie un salto gigantesco, grazie anche all’adozione di nuove soluzioni organizzative come la fabbrica fordista basata sulla catena di montaggio. Lo stretto legame dell’industria con la scienza moderna favorisce la nascita di settori prima inesistenti: elettricità, chimica e meccanica, grazie a innovazioni come le dinamo e gli alternatori, il motore a scoppio, i fertilizzanti chimici, le fibre artificiali. La scoperta delle proprietà delle onde elettromagnetiche consente inoltre le prime trasmissioni radio e, passando per la televisione, conduce fino agli smartphones.
L’inarrestabile flusso delle innovazioni degli ultimi decenni, confluito nell’odierna rivoluzione digitale, ha cambiato in modo radicale l’economia e modificato le prospettive dell’industria e del lavoro. Incidendo sulla velocità del cambiamento e sugli stessi processi produttivi, l’automazione e l’intelligenza artificiale costringono a riflettere sugli esiti delle trasformazioni in atto e, al contempo, sugli effetti sociali dei cambiamenti innescati dalle nuove tecnologie.
Da sempre il progresso tecnico porta l’uomo a demandare alla macchina compiti e mansioni che venivano svolte in precedenza in prima persona. Questo processo ha provocato l’obsolescenza di alcune professioni ma ha fatto anche emergere la necessità di rispondere ad esigenze diverse, generando il bisogno di nuovi lavori e nuove figure lavorative.
Se al tempo della fabbrica l’operaio veniva definito in base al pezzo o alla lavorazione in cui aveva trovato la propria specializzazione, oggi ai lavoratori sono richieste maggiori competenze o una maggiore versatilità per stare al passo con le dinamiche evolutive prodotte dalla trasformazione digitale in corso.
Nel pieno di una rivoluzione epocale della nostra società, per il lavoratore, oggi il rischio è rappresentato dal non essere in possesso di strumenti, conoscenze e competenze utili.
Per questo, di fronte a percorsi professionali sempre più diversificati e mutevoli, è necessario ripensare l’offerta politica ponendola in connessione con le nuove sfide, re-immaginare i percorsi educativi al duplice fine di offrire occasioni di formazione permanente e aggiornare costantemente le proprie competenze non solo per una propria competitività nel mondo del lavoro ma anche per una più complessiva realizzazione e soddisfazione personale.
Il progresso industriale trasformano in maniera spesso irreversibile i territori. Mutano innanzitutto le città, dove si concentrano le grandi fabbriche, a causa dell’arrivo di migliaia di uomini e di donne che si trasferiscono dalle campagne (in Italia in particolare dalle regioni del Mezzogiorno) con la speranza di avere un posto di lavoro nei siti industriali. Questo processo di inurbamento favorisce uno sviluppo dell’edilizia e apre nelle grandi città il problema della regolazione delle periferie, dello sviluppo dei trasporti e dei servizi (come asili, scuole, ospedali, negozi).
Il processo di deindustrializzazione avvenuto nei paesi occidentali a partire dalla metà degli anni Settanta ha posto il tema di vasti spazi da bonificare, ridisegnare e reinventare. Così alle fabbriche si sostituiscono i grattacieli, gli uffici, le residenze di lusso, i centri commerciali. Questa trasformazione ha cambiato radicalmente il tessuto sociale e l’identità di interi territori.
Alcune realtà hanno saputo rispondere alla sfida del cambiamento imboccando percorsi di riqualificazione e innovazione. Altri hanno subito dinamiche di declino e decadenza e devono ancora trovare una strategia di sviluppo capace di cogliere nuove opportunità.
Su questi scenari impattano i flussi migratori, formati da lavoratori che provengono da paesi lontani anche migliaia di chilometri, ponendo con forza la questione della convivenza, dell’integrazione e della ricerca di nuove forme di cittadinanza.
A seguito della Seconda rivoluzione industriale, le grandi fabbriche richiamano masse ingenti di manodopera non qualificata, proveniente in larga misura dalla campagna.
Uomini, donne e minori erano obbligati a lavorare anche dodici ore consecutive in ambienti malsani, privi di qualunque forma di tutela per infortuni o malattie. Sottopagati, vivevano in baracche prive di servizi igienici. In queste condizioni maturano la consapevolezza dei propri bisogni e dei diritti negati che sviluppano coscienza di classe e identità condivise. A partire dalla metà del XIX secolo le masse di salariati si danno nuove forme organizzative collettive, dalle casse di mutuo soccorso alle associazioni sindacali di categoria alla rappresentanza politica dei propri interessi.
Spesso nel corso del Novecento i soggetti politici e sindacali legati al movimento operaio hanno dovuto modificare le loro proposte sulla base delle nuove esigenze che stavano prendendo corpo sull’onda delle innovazioni all’interno dei processi produttivi e dei cambiamenti avvenuti nelle società.
Oggi processi come la globalizzazione, la frammentazione del mondo del lavoro, l’individualizzazione dei percorsi di formazione e occupazione e l’impatto della rivoluzione digitale pongono con urgenza il tema della costruzione di identità collettive nelle quali potersi riconoscere per restare un soggetto attivo in grado di incidere sull’agenda politica.
È grazie al conflitto che la realtà può essere trasformata. Se si osserva lo sviluppo del mondo del lavoro nel corso del Novecento, le rivendicazioni si sono espresse attraverso lotte e conflitti sociali che provocano gradualmente un allargamento dello spazio di cittadinanza.
Organizzandosi, le forze politiche e sindacali hanno contribuito a trasformare lo status quo, rendendo possibile la conquista di diritti fino ad allora ignorati. Lottando contro le dinamiche padronali, si ottengono, tra gli altri, le ferie retribuite, malattia e infortuni, permessi di gravidanza, pensionamento, giornata lavorativa di otto ore.
Nel momento in cui cerca di superare diseguaglianze per affermare diritti, il conflitto crea comunicazione e riconoscimento: da una contaminazione tra pulsioni politiche diverse in Italia nel 1970 è nato lo Statuto dei lavoratori.
Oggi di fronte alla diminuita conflittualità sociale e alla frammentazione del mondo del lavoro, diritti garantiti dalla legge restano in realtà sulla carta per molteplici categorie di lavoratori.
Vi è dunque un legame fortissimo tra le trasformazioni che hanno interessato il mondo del lavoro e la società: queste contaminazioni producono nuove rivendicazioni di diritti e, a loro volta, generano nuovi conflitti forieri di rinnovate esigenze e bisogni.
Le conseguenze della rivoluzione industriale sulla società pongono la questione di quali politiche adottare per governare il cambiamento.
Verso la fine dell’Ottocento, in tutti i Paesi europei investiti dalla modernizzazione dei processi produttivi, i governi, incalzati dal movimento operaio, varano i primi significativi programmi di welfare: l’introduzione dell’assistenza medica gratuita, l’approvazione di leggi sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Tra la Prima e la Seconda guerra mondiale le politiche sociali rispondono alla necessità di alleggerire le condizioni di marginalità più aspre. Ma è solo con la fine della Seconda guerra mondiale che, in alcuni Paesi occidentali, viene realizzato lo Stato sociale universale, capace di tutelare i cittadini dalla nascita fino alla morte, offrendo molteplici prestazioni, tra cui la sanità pubblica e la pensione sociale.
Oggi, nel contesto della globalizzazione, del processo di integrazione europeo, della frammentazione del mercato del lavoro e delle difficoltà dello Stato nel finanziare vasti programmi di welfare, abbiamo la necessità di immaginare nuovi modelli di tutela.
La rivoluzione industriale produce significativi cambiamenti per quanto riguarda la gestione e la percezione del tempo perché l’affermazione del sistema di fabbrica porta per la prima volta a distinguere in modo molto chiaro non solo luogo di abitazione e luogo di lavoro, ma anche tempo di lavoro da quello che non lo è. Tra Otto e Novecento si verifica un’ulteriore importante passaggio, perché mentre si riduce in maniera significativa l’orario di lavoro si afferma un tempo libero che viene istituzionalizzato e assume dimensioni di massa quando vengono introdotte le ferie retribuite.
L’affermazione delle nuove tecnologie ha cambiato radicalmente l’uso del tempo: l’iper-connettività travolge infatti la barriera tra i tempi di vita e tempi di lavoro e produce un’accelerazione di tutte le attività umane che offre solamente l’illusione di avere più tempo a disposizione mentre minaccia di imporre nei fatti una sorta di “tirannia del presente”, di costringere le attività umane in ritmi sempre più frenetici.
Quali strategie e/o politiche occorre quindi adottare perché le tecnologie digitali non costruiscano un nuovo grande divide tra chi riesce a utilizzarle per potenziare le sue possibilità e chi invece ne diventa schiavo?
Sono le innovazioni della seconda rivoluzione industriale a modificare radicalmente la vita e i consumi delle persone. Così mentre la “casa elettrica” e gli elettrodomestici rendono meno gravosi i lavori domestici, la motorizzazione di massa consente orizzonti di spostamento impensabili e la trasmissione a distanza di suoni e immagini cambia radicalmente il modo di comunicare. Nel secondo dopoguerra lo sviluppo del traffico aereo, la nascita di internet, la crescita del web e la diffusione esponenziale degli smartphones rendono il mondo sempre più “piccolo” e sempre più interconnesso.
Se nel “primo mondo” l’avvento della società dei consumi di massa ha certamente migliorato le condizioni di vita delle persone, in quelle medesime porzioni di pianeta, così come nelle altre, si è assistito ad una continua e costante diminuzione delle risorse disponibili.
Parallelamente, il cambiamento nelle abitudini e negli stili di vita produce anche una rivoluzione dei costumi: nuovi simboli del benessere diventano la televisione o l’automobile. A lungo andare, queste trasformazioni disarticolano i legami tradizionali delle società, amplificando da un lato le possibilità di emancipazione e auto-affermazione dell’individuo sulla base dei suoi orientamenti ma provocando dall’altro lato tendenze alla frammentazione e all’individualizzazione che rendono più difficili processi di emancipazione sulla base di mobilitazioni collettive.
Con le rivoluzioni industriali – in particolare a partire dalla seconda quando il legame dell’industria con la scienza diventa strettissimo – si diffonde una enorme fiducia nel progresso e nelle possibilità dell’uomo di controllare, in maniera in precedenza impensabile, la natura come il mondo circostante.
Mentre i primi voli consentono di appropriarsi di una quarta dimensione, quella dell’aria, dopo avere conquistato e domato la terra, il fuoco e l’acqua, la medicina moderna, con le vaccinazioni e gli antibiotici, inizia a porre le basi per un allungamento senza precedenti della speranza di vita.
Ma la corsa dell’uomo pare inarrestabile e si rivolge allo spazio, arrivando ben presto sulla Luna e poi iniziando a coltivare e a realizzare il sogno dell’esplorazione di Marte. Al tempo stesso si conseguono progressi eccezionali anche nella scoperta e nell’esplorazione dell’infinitamente piccolo che apre orizzonti in gran parte ancora inesplorati alla medicina e alle biotecnologie.
In questa evoluzione, a causa di inconsapevolezza o per la ricerca spregiudicata del profitto, non si è guardato ai costi umani e materiali posti dallo sviluppo. Oggi, durante la quarta rivoluzione industriale, per la prima volta nella storia umana il cambiamento tecnologico non è accompagnato, nelle società occidentali, da una visione di futuro come continuo miglioramento. Proprio mentre l’uomo si convinceva di essere padrone del mondo, il mondo ha esaurito le risorse, mettendo l’uomo di fronte alla necessità di pensare un nuovo modello di sviluppo.
Il processo di sviluppo prende avvio con la rivoluzione industriale inglese quando, per la prima volta, il ritmo di crescita dell’economia diventa superiore a quello della popolazione. Tuttavia, data la semplicità delle innovazioni della prima rivoluzione industriale, occorre attendere la parte finale del XIX secolo per assistere a uno sviluppo senza precedenti. Sarà poi la transizione demografica, che interessa i paesi occidentali nel corso del XX secolo, a consentire anche un grande miglioramento delle condizioni di vita perché, contenendo l’incremento della popolazione, comporta un aumento spettacolare del Pil pro capite.
Questa crescita apparentemente illimitata ha però un impatto negativo sempre più evidente sui fragili equilibri dell’ecosistema globale, sia in termini di consumo delle risorse, che in termini di inquinamento, fino a produrre cambiamenti climatici su scala mondiale. Nella parte più sviluppata del pianeta, quella che per prima è approdata al benessere e alla ricchezza, inizia a manifestarsi, in particolare a partire dal secondo dopoguerra, un crescente interesse per la questione ambientale e la necessità di perseguire maggiore sostenibilità nei modelli di sviluppo economico in modo da consegnare alle generazioni future un pianeta che possa ancora garantire una vita degna e un equo accesso alle risorse.
Il futuro della vita sulla terra per la specie umana ci impone di interrogarci sui limiti e sulle prospettive del nostro sviluppo. Quale sviluppo è possibile per tenere insieme ecosostenibilità, miglioramento delle condizioni di vita, giustizia sociale, inclusione e convivenza?
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